L’Aging Project del DIMET (Dipartimento di Medicina Traslazionale) dell’Università del Piemonte Orientale, ci informa di una ricerca pubblicata sul The Journals of Gerontology, secondo la quale il pianoforte viene indicato come strumento per controllare gli effetti dell’invecchiamento.
La ricerca parte dalla considerazione che negli anziani si registra una riduzione delle prestazioni cognitive, spesso aggravate da condizioni di solitudine. Questo dunque non aiuta a invecchiare bene. Una soluzione è l’utilizzo della musica che potrebbe migliorare le capacità residue, ridurre le difficoltà di linguaggio e diminuire la perdita della memoria. La formazione musicale, e in particolare suonare il pianoforte, può dare molti benefici.
Lo studio, spiegano gli specialisti dell’Aging Project, è stato condotto per valutare gli effetti dell’esercizio al pianoforte sulle prestazioni cognitive negli anziani. Ma non solo, anche sul loro benessere psicosociale, sullo stress fisiologico e sulla funzione immunitaria. Uno degli obiettivi di questo studio è aumentare il livello delle prove a conferma di questi benefici.
Suonare il pianoforte, come evidenziano studi condotti anche su adulti di varia età e su bambini, ottimizza la memoria di lavoro, il ragionamento spaziale, la fluidità verbale e il controllo cognitivo. L’esercizio al pianoforte, sottolineano gli esperti di Aging Project, è un’attività multimodale complessa, con gli elementi caratteristici di un intervento cognitivo di successo come la novità del compito, le difficoltà progressive, i requisiti pratici e gli elementi sociali. L’esercizio pianistico tradizionale richiede l’applicazione di abilità sensomotorie e processi cognitivi, necessari per decodificare una partitura musicale, il che porta a cambiamenti neuroplastici.
Diversi studi hanno dimostrato che gli anziani che partecipano a una formazione musicale ottengono benefici sensoriali e cognitivi: una formazione pianistica individualizzata migliora la memoria e la velocità di elaborazione delle informazioni.
Nonostante questo, solo pochi studi hanno valutato sperimentalmente gli effetti dell’esercizio al pianoforte come intervento cognitivo nell’invecchiamento e si sa poco sia riguardo agli specifici risultati cognitivi interessati sia sulla sostenibilità dei miglioramenti ottenuti.
Gli specialisti dell’Aging Project ci spiegano che lo studio è
randomizzato e controllato: 155 partecipanti, di età compresa tra 60 e 80 anni, sono stati assegnati a tre gruppi di studio. 30 al training con il pianoforte, 35 a training cognitivo assistito da computer e 55 al gruppo di controllo senza trattamento. I gruppi di trattamento hanno completato un programma di allenamento a piccoli gruppi della durata di 16 settimane, con 2 sessioni a settimana da 90 minuti ciascuna, per un totale di 48 ore. Tutti i partecipanti hanno sostenuto una batteria standard di prove in merito alle funzioni esecutive (memoria di lavoro, velocità di elaborazione, fluidità verbale), alle misure psicosociali (autoefficacia musicale e generale, umore) e alle misure fisiologiche (cortisolo e funzione immunitaria) prima, dopo il training e al follow-up dopo 3 mesi
I risultati hanno evidenziato che le persone sottoposte ad allenamento col pianoforte e quelle ad allenamento assistito dal computer hanno mostrato un miglioramento nella memoria di lavoro e nella velocità di elaborazione delle informazioni rispetto al gruppo di controllo. L’addestramento al pianoforte ha aumentato significativamente le capacità di fluidità verbale nel cambio di argomento: sono stati riscontrati effetti significativi dell’addestramento al pianoforte per le misurazioni della fluidità verbale e nella commutazione complessiva (CatSW). Il beneficio dell’allenamento al pianoforte è stato osservato anche rispetto all’allenamento cognitivo assistito dal computer.
Dunque suonare il pianoforte potrebbe essere legato a un invecchiare bene, poiché aumenta le prestazioni motorie, riduce la depressione e migliora la qualità della vita. La musica potrebbe quindi essere uno strumento utile per contrastare l’invecchiamento cognitivo e la rigidità muscolo-articolare, inoltre potrebbe essere un modo per ridurre l’isolamento e favorire la socializzazione. Ancora di più se integrato con canto corale e danza.
Le prospettive potrebbero essere dunque molto positive.
C’è un handicap a questo studio, rilevano i ricercatori di Aging Project, ovvero aver incluso solo soggetti che non consumavano farmaci psicoattivi, non presentavano storia di difficoltà di apprendimento, nessun precedente deficit neurologico e nessun deficit cognitivo: ciò limita la popolazione a cui poter applicare i risultati ottenuti. Altro dato da tenere in considerazione è l’alta percentuale di abbandoni durante lo studio, pari a circa il 30% rispetto ai soggetti che avevano iniziato lo studio.