Gli esperti sono tutti d’accordo, bisogna “dare peso al peso”, poiché i chili di troppo impattano in modo considerevole sulla salute del cuore. Se ne è parlato all’85° convegno della Società Italiana di Cardiologia (SIC), terminato a Roma 15 dicembre. I cardiologi, a proposito dei chili di troppo, hanno parlato di “cardiobesità”, per intendere proprio il fatto che perdere peso significa proteggere il cuore ed è dunque la parola d’ordine su cui puntare.

Del resto, i numeri parlano chiaro: per ogni 2 anni in più vissuti con peso extra, c’è un rischio di ammalarsi più alto del 7% rispetto alla normalità.

Se l’eccesso di peso è responsabile delle principali malattie cardiovascolari, la bilancia però conta meno della misura del grasso viscerale che può essere calcolato in modo semplice con l’indice di rotondità (BRI – Body Roundness Index). Si tratta di un parametro che misura il girovita in rapporto all’altezza, in grado di prevedere il rischio cardiovascolare che è più alto del 22% in chi ha un valore BRI moderato, che sale al 55% in chi ha un valore di BRI elevato. A dimostrarlo uno studio pubblicato di recente sul Journal of American Heart Association e condotto dal Centre for Diseases, Control and Prevention dell’Università di Nanchino.

Gli specialisti hanno evidenziato poi come non solo infarto e ictus, ma anche scompenso cardiaco e fibrillazione atriale dipendono direttamente dai chili di troppo che affliggono 4 italiani su 10 obesi o in sovrappeso, spesso per molti anni. Questo comporta una probabilità maggiore di sviluppare complicanze cardiovascolari per ogni anno vissuto con un eccesso ponderale. I soggetti obesi presentano un rischio di fibrillazione atriale di quasi il 50% più alto rispetto agli individui normopeso, del 64% di andare incontro a infarto e ictus e del 30% di sviluppare scompenso cardiaco.

Detto questo, il quadro complessivo è talmente allarmante che ha spinto la Società Europea di Cardiologia a collocare l’Italia, nel recente documento di consenso sulla prevenzione cardiovascolare, tra i Paesi a rischio intermedio, anziché basso, come Francia e Spagna, proprio per i tassi di prevalenza di sovrappeso e obesità più elevati della media europea, con il 33% degli italiani in sovrappeso. Per affrontare il fenomeno, la Federazione Italiana di Cardiologia, in collaborazione con la Società Italiana di Cardiologia (SIC) e l’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) ha presentato il mese scorso un Piano Strategico Nazionale per la Salute del Cuore, il primo mai realizzato in Italia, nell’ambito di un’azione di prevenzione della salute cardiovascolare in corso nell’Unione Europea. Tra le priorità del documento proprio il contrasto all’obesità, attraverso la promozione dell’esercizio fisico nelle aree pubbliche delle città e dell’educazione alimentare dalle scuole ai luoghi di lavoro.

Ricordando che basta un calo di peso di 1 kg su 10 per ridurre del 21% il rischio cardiovascolare.

 Da ricordare inoltre che l’obesità fino a qualche tempo fa era considerata una condizione sulla quale, oltre che con la strategia dietetica e l’esercizio fisico, non si poteva fare molto. Attualmente può considerarsi “trattabile”, grazie a nuove classi di farmaci che si sono rivelati, o si potrebbero rivelare, molto efficaci non solo sulla perdita di peso, ma anche sulla riduzione dell’incidenza di infarto ictus e dei fattori di rischio cardiovascolari.

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