Uno studio condotto da ricercatori del Cnr-Isac, in collaborazione con Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ismar), Università di Urbino ed Eidgenössische Technische Hochschule (Eth) di Zurigo, pubblicato su Environmental Research Letters, ha analizzato per la prima volta in Italia i possibili impatti delle limitazioni imposte dalla pandemia sulle concentrazioni di O3 misurate in un sito remoto d’alta quota, quindi al di fuori dello strato limite planetario (Planetary Boundary Layer – PBL), ossia la parte di troposfera direttamente influenzata dalla presenza della superficie terrestre e dalle emissioni delle sostanze inquinanti e clima-alteranti. Se in stratosfera l’ozono svolge un ruolo benefico per la vita sulla Terra, schermando le radiazioni UV nocive provenienti dal Sole, nella troposfera, ossia a quote comprese fra la superficie terrestre e 12–15 km, agisce come gas a effetto serra.
Le misure continuative analizzate sono state condotte presso l’osservatorio “O. Vittori” di Monte Cimone, parte della stazione globale afferente al Wmo/Gaw e gestito dal Cnr-Isac in stretta collaborazione con l’Aeronautica Militare Italiana (Camm Monte Cimone). “I bassi valori di O3 che hanno caratterizzato la primavera e l’estate del 2020 non possono essere spiegati neppure da differenze nella circolazione ad ampia scala rispetto ai cinque anni precedenti. I periodi con i valori più bassi sono stati tra l’altro osservati in concomitanza con masse d’aria provenienti dal PBL dell’Europa e del nord Italia”, afferma Paolo Cristofanelli, primo ricercatore del Cnr-Isac di Bologna.
Tutto concorre pertanto a concludere che “durante la primavera e l’estate del 2020, le restrizioni dovute al COVID-19 abbiano ridotto le emissioni antropiche nel PBL dei precursori dell’ozono, ossia di quelle sostanze che, in presenza di radiazione solare, ne provocano la formazione e che possono essere emesse da fonti umane fra cui, ad esempio, il traffico veicolare”.
Di Alice Preziosi