Il prossimo referendum che, sulla base delle firme raccolte, chiederà agli italiani di pronunciarsi sulla legalizzazione della coltivazione della cannabis per uso personale, accende i riflettori sull’utilizzo troppo generico e fin quasi ingannevole delle parole “cannabis” e “marijuana”, senza distinguere tra le varie tipologie disponibili sul mercato, che possono avere effetti molto diversi sulla mente e sul corpo di una persona. 

L’ISTITUTO EUROPEO DIPENDENZE (IEuD) affronta ogni giorno i problemi di addiction dei propri pazienti in ogni loro livello di gravità e presentazione. L’orizzonte esclusivamente clinico impone maggiore consapevolezza sui termini usati per favorire un uso il più possibile appropriato dei diversi composti presenti nella marijuana ed un rapido ed efficace aiuto terapeutico, dove necessario. 

L’azione del tetraidrocannabinolo (THC), ovvero la componente psico-attiva della marijuana, non era realmente nota fino ai primi anni ’90, quando in Israele un gruppo di ricercatori identificò l’anandamide (parola sanscrita che significa “gioia suprema”), aprendo la strada alla comprensione del sistema endocannabinoide.

Di pari passo, il contenuto di THC nella marijuana è andato crescendo nel tempo. La marijuana dagli anni ’60 agli anni ’80 aveva un contenuto di THC inferiore al 2%; negli anni ’90 questa percentuale raddoppia al 4% ma è e tra il 1995 e il 2015 che si registra un aumento esponenziale (ben oltre il 200%) del contenuto di THC nel fiore di marijuana che arriva a toccare concentrazioni superiori al 25%

Negli Stati Uniti, sul recente mercato legale della cannabis per uso ricreativo, sembra che solo due numeri contino: il prezzo e il contenuto di THC. I fiori di cannabis super potenti, con percentuali di THC del 25% si stanno rapidamente affermando sugli scaffali dei dispensari facendo leva sulla disponibilità dei consumatori di pagare prezzi più alti per un prodotto che viene percepito come migliore in quanto il più potente in circolazione.

L’ISTITUTO EUROPEO DIPENDENZE mette in guardia contro questa semplificazione. Non solo il contenuto di THC non ha nulla a che fare con la “qualità” del prodotto in senso lato ma, come dimostrato da una recente ricerca condotta dall’Università del Colorado e pubblicata su JAMA Psychiatry, il contenuto di THC è anche uno scarso indicatore di potenza. Monitorando l’umore, la funzione cognitiva e i livelli plasmatici di 121 consumatori prima, immediatamente dopo e ad un’ora dall’uso di cannabis a diverse concentrazioni di THC, è emerso che il livello di euforia era più o meno lo stesso come pure l’equilibrio ed il deterioramento cognitivo; e questo nonostante i livelli di THC nel corpo fossero sensibilmente diversi.
La risposta a questo fenomeno sta nel fatto che la marijuana è una fonte particolarmente ricca di composti medicinali che abbiamo appena iniziato a esplorare e che va ben oltre l’azione psicoattiva del solo tetraidrocannabinolo (THC). Come scrive efficacemente Chris Roberts su Forbes Chris Roberts (forbes.com), giudicare una varietà di cannabis in funzione del suo contenuto di THC è come giudicare un film in base al solo attore protagonista.
Originaria dei monti Altai nell’Asia centrale e orientale, la marijuana contiene almeno 85 cannabinoidi e ben 27 terpeni, oli profumati prodotti da molte erbe e fiori che possono essere anche molto attivi sulla persona.

In Italia con oltre sei milioni di consumatori, è di gran lunga la droga illegale più diffusa con un picco di consumo a rischio del 22,7% fra i ragazzi di età compresa fra i 15 e 19 anni.

Il THC è il cannabinoide principale responsabile dello sballo e viene prodotto dall’acido THC – che costituisce fino al 25% del peso secco della pianta – fumando o cuocendo qualsiasi parte della pianta di marijuana. Il THC mima il neurotrasmettitore naturale anandamide e si lega ai recettori dei cannabinoidi del cervello capaci di influire fra l’altro sul piacere, la memoria, il pensiero e la coordinazione.

Tuttavia non tutti i cannabinoidi fanno sballare; il cannabidiolo (CBD) è un cannabinoide presente nella marijuana, specialmente in alcune varietà che, seppur simile al THC, non causa euforia. La molecola del CBD interagisce con una varietà di recettori – inclusi i recettori dei cannabinoidi e della serotonina e i potenziali canali cationici dei recettori transitori (TRP) – per ridurre convulsioni, ansia oltre a produrre altri effetti.

La marijuana contiene anche diversi monoterpenoidi, piccole molecole aromatiche, che svolgono un’ampia gamma di attività tra cui il sollievo dal dolore e dall’ansia e che agiscono inibendo i canali TRP. Il mircene è il terpene più abbondante nella marijuana e può facilitare il rilassamento muscolare.

Le interazioni fra questi numerosi composti determinano il cosiddetto “effetto entourage” che varia sensibilmente in funzione delle diverse varietà di marijuana coltivate (alcune particolarmente ricche di THC piuttosto che di CBD, altre con abbondanti monoterpenoidi) nonché delle tecniche di coltivazione

Chiaramente, sono necessarie ulteriori ricerche da parte della comunità scientifica per aiutare a guidare l’uso appropriato e sicuro della marijuana.

D’altra parte, come ricorda Emanuele Bignamini (Direttore Scientifico di IEUD) “la dipendenza non è causata solo dalla sostanza ma è definita dal legame che si stabilisce tra la persona e la sostanza in un dato ambiente.”

Indubbiamente, la cannabis contiene principi attivi che agiscono attraverso i meccanismi neurobiologici tipici delle sostanze che danno dipendenza, oltre ad altre sostanze potenzialmente dannose con diversi meccanismi. Tuttavia, questo non è sufficiente per causare la dipendenza: sono necessarie condizioni sociali e ambientali, situazioni psicologiche personali, relazioni con gli altri e possibilità e capacità di dare senso alla propria vita.

Come per l’alcol, il proibizionismo e la repressione non si sono dimostrati efficaci nel proteggere la salute delle persone, così come non è bastato depenalizzare e legalizzare una sostanza perché questa non provochi più problemi o danni; peraltro, neppure il processo di “normalizzazione” culturale e sociale, in atto da tempo e senza bisogno di disposizioni di legge, può neutralizzare una sostanza pericolosa.

“Concretamente – conclude il dott. Bignamini – riteniamo che il sostegno alla cultura della salute e l’offerta di un supporto terapeutico che consideri l’insieme della persona possono essere necessari già a fronte dell’attuale grande diffusione dei cannabinoidi e di sostanze psicoattive sempre nuove e sempre più potenti.”

L’Istituto Europeo Dipendenze (IEuD) è un Istituto all’avanguardia per il trattamento delle dipendenze in grado di offrire una attenta valutazione della problematicità dell’uso di droghe, orientando il paziente e i suoi familiari verso gli interventi più idonei e proporzionati alla complessità del problema reale. Fondato a Milano nel 2016 ha in questa città la sua sede ma si caratterizza per innovativi percorsi di cura “da casa” usando le nuove tecnologie. Priorità di chi è affetto da una dipendenza è proteggere con particolare attenzione la propria vita privata e la propria identità durante il percorso terapeutico, per questo IEuD ha attivato numerosi protocolli di tutela della privacy. IEuD sintetizza la sua “mission” nella frase “INSIEME A NOI, DIVENTI FORTE” poiché ogni grande progetto di vita ha bisogno che i propri sforzi siano ottimizzati e sostenuti. IEuD è come un personal trainer che aiuta chi lo desidera ad affrontare un percorso di cambiamento.

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