Le cardiomiopatie (CMP) sono un gruppo eterogeneo di malattie che hanno in comune la presenza di un’alterazione anatomo-funzionale che riduce la capacità del cuore di riempirsi o di pompare il sangue o che ne altera la funzione elettrica (ritmo cardiaco). Di questo tipo di patologie esistono anche forme rare, cioè con un’incidenza inferiore ad un caso ogni 2.000 persone: soprattutto in questi casi, la diagnosi può arrivare con molto ritardo. Ora, grazie a un elenco di raccomandazioni contenute in un position paper italiano firmato dal Prof. Giuseppe Limongelli, responsabile della Unità di Malattie Genetiche e Rare Cardiovascolari dell’AORN dei Colli (Ospedale Monaldi), docente presso l’Università degli Studi Luigi Vanvitelli e Direttore Responsabile del Centro Coordinamento Malattie Rare della Regione Campania, appena pubblicato sull’International Journal of Cardiology, gli specialisti potranno essere maggiormente supportati sia nella formulazione dell’ipotesi diagnostica che nella gestione del paziente.
Per poter giungere a una diagnosi di cardiomiopatia rara è di primaria importanza che nel clinico insorga il “sospetto” della patologia. “È fondamentale che il cardiologo sappia individuare le cosiddette ‘red flags’, ossia i ‘campanelli di allarme’, i segni e i sintomi che da un quadro comune, come ad esempio può essere quello di un’ipertrofia, di uno scompenso o di una valvulopatia, possono portare alla diagnosi di una malattia rara”, spiega Limongelli in un’intervista rilasciata ad Osservatorio Malattie Rare (OMaR).
Nel position paper italiano ci si sofferma poi sulla presa in carico del paziente con cardiomiopatia rara, che deve avvenire in un Centro di riferimento e basarsi, preferibilmente, su un approccio multidisciplinare. “È fondamentale che il Centro di riferimento a cui si rivolge il paziente abbia un’équipe in grado di seguirlo a 360 gradi, costruita ‘intorno’ alla malattia rara”, sottolinea Limongelli. “Le cardiomiopatie rare, infatti, presentano spesso complicanze sistemiche e necessitano della presenza di altri specialisti, oltre al cardiologo. All’Ospedale Monaldi abbiamo creato un team multidisciplinare dedicato all’amiloidosi, uno per la malattia di Fabry e uno rivolto alle patologie neonatali e pediatriche”.