Qual è l’atteggiamento che i senior hanno nei confronti dell’avanzare di fragilità che caratterizzano il passare del tempo? Uno studio dell’Università Cattolica di Milano ha individuato problematiche e soluzioni Invecchiare fa parte della vita, come si sa, ma non tutti, con l’avanzare dell’età e le inevitabili problematiche non solo di salute, affrontano la cosa alla stessa maniera. 

In che modo gli anziani riescono (se riescono) a gestire la “transizione” verso la quarta età e le conseguenti fragilità? Se lo sono chiesti i ricercatori di uno studio che ha cercato di dare risposte scandagliando il rapporto delle persone tra i 74 e gli 84 anni con malattie, avversità, difficoltà relazionali: i cosiddetti “anziani in transizione”. E anche se si nota una certa resilienza in proposito, c’è chi invece non vuole accettare l’idea di diventare vecchio e pensa che quella certa condizione di vulnerabilità sia solo temporanea. 

L’indagine si intitola “Redesign – Frail elderly, intergenerational solidarity and ageing friendly communities”, coordinata dall’Università Cattolica di Milano sotto la direzione di Donatella Bramanti (professore ordinario di sociologia della famiglia nell’ateneo), insieme all’Università di Verona e all’Università del Molise, e finanziata da Fondazione Cariplo.

Come si affronta la vulnerabilità

Tra i dati messi in evidenza, si rileva che è peggiorata la fragilità delle persone della fascia di età considerata, quasi il 9% della popolazione italiana complessiva. Non tanto nella sfera famigliare, ma piuttosto nella dimensione sociale, causa soprattutto l’isolamento forzato dovuto al lockdown del Covid e alle misure di distanziamento.

L’indagine ha approfondito il passaggio all’anzianità in situazioni di vulnerabilità per comprendere cosa avviene quando si presenta questa esperienza critica, giocata prevalentemente all’interno delle relazioni familiari. L’intento è stato anche capire come si riorganizzano i soggetti anziani e le loro reti familiari davanti ai primi segnali di fragilità e di perdita della parziale indipendenza. 

Le interviste di coppia, le diadi come si dice in gergo tecnico, cioè senior e persona di riferimento, sono state alla base di questa ricerca qualitativa, che “non è generalizzabile come risultati in termini statistici”, spiega la prof Donatella Bramanti, aggiungendo: “Abbiamo cercato di capire quali fossero le diadi più funzionanti e  quindi in un certo senso più promettenti anche per il benessere dell’anziano. Non mancando anche di evidenziare inoltre le diadi di situazioni di rischio”. I ricercatori hanno identificato profili dove si sono rilevate le cosiddette diadi protagoniste, caratterizzate da anziani in grado di gestire la propria vita, con l’arrivo di difficoltà prima non presenti. “In pratica”, dice Bramanti, “persone in grado non solo di prendersi carico dei propri problemi, ma anche di trovare relative soluzioni: sono quelli che più facilmente riescono ad affrontare la transizione. C’è però un sottogruppo non banale di soggetti convinti in qualche modo che prima o poi tornerà tutto come prima. Si tratta di condizioni un po’ in bilico, non si sa come andranno ad evolvere, ma non è sicuramente una buona premessa negare che sta succedendo qualcosa. Poi abbiamo situazioni che sono già molto difficili, ma non è sempre il problema fisico il peggiore, spesso è un problema relazionale”. 

Un grosso problema è la mancanza di relazioni sociali

Per la professoressa Bramanti, una buona percentuale di anziani ha vissuto senza dare valore alle relazioni e alla socialità in senso lato, concentrandosi su famiglia e lavoro. “E quando viene meno il lavoro e la famiglia si rarefà, i figli sono grandi, se ne sono andati da casa e così via, in loro è come ci fosse un buco nero che non riescono a colmare. E la generazione di anziani di oggi è ancora molto centrata sulla famiglia. Questo è un punto di forza, perché in una famiglia tra virgolette integra, in cui sono pochissime le persone separate, divorziate, si può fare affidamento su figli e nipoti. Che non avremo in futuro, perché gli anziani prossimi (quelli che avranno 75 anni in su tra meno di un decennio, ndr), faranno parte di una generazione molto più fragile da questo punto di vista, facilmente avranno alle spalle separazioni, pochissimi figli o nessuno…”.

C’è tutto un mondo “fuori dalla pensione”

Davanti a una futura situazione prevista non in positivo, gli anziani attuali, per contro, “sono al centro di una congiuntura relativamente favorevole perché godono di una certa relazionalità familiare e questo significa da un certo punto di vista benessere, tranquillità”. Però, attenzione, avverte Bramanti: “In alcuni casi questa condizione diventa un po’ asfittica, chiusa su se stessa, all’insegna di una cultura in cui lo stile di vita è non rendersi conto che c’è un mondo “fuori”. Considerando tuttavia  che ci sono pure gli over molto attivi, la soluzione è coinvolgere le persone dai capelli grigi in una coprogettazione di servizi, inserendoli in una rete di vario tipo, volontariato, supporto esterno, animazione… agendo subito dopo il pensionamento, diffondendo in modo sempre più capillare l’idea che la pensione non è riposare e basta. Il tempo libero va riempito, e riempito bene, elaborando una programmazione dell’esistenza in cui tenere a mente che si va verso una parte della vita in cui comunque ci saranno fragilità, pure tra i più fortunati”. 

Le nostre città sono pronte?

L’Italia non è solo fatta di città, ma di provincie, paesi, luoghi anche logisticamente scomodi dove si sta peggio rispetto ai centri urbani, checché se ne dica. In teoria, le città sono luoghi di maggiore aggregazione e non mancano esempi interessanti. “Nella nostra ricerca”, racconta Bramanti, “abbiamo tuttavia notato che nelle zone periferiche le situazioni tendono ad essere difficili e gli anziani passano gran parte del tempo a casa, davanti alla televisione”. Come uscirne? La soluzione è sempre la medesima. Creare una rete di sostegno, dai famigliari, ai volontari, alle parrocchie, che sia capillare sui territori e fruibile soprattutto da chi vive in situazioni vulnerabili e di isolamento. (Cinzia D’Agostino, redazione Senzaetà, Roma)

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