Il mese di maggio è dedicato alla sensibilizzazione della popolazione sul tumore della vescica grazie all’iniziativa Bladder Cancer Awareness Month, voluta dalla World Bladder Patient Cancer Coalition, gruppo di pazienti costituitosi nel 2019 con lo scopo di far conoscere questa neoplasia e i suoi campanelli d’allarme. E’ infatti una patologia in aumento. Solo nel 2022 in Italia sono state 29.200 le nuove diagnosi, l’8% di casi in più rispetto a cinque anni fa. I più colpiti risultano gli uomini (oltre 23mila), ma sono cresciuti dell’11% dal 2017 al 2022 anche i casi nelle donne.

Si tratta del settimo tumore più frequentemente diagnosticato nel sesso maschile, posizione che scende al decimo posto quando si vanno a considerare entrambi i sessi. Il tasso di mortalità ha un rapporto di 3 a 1 per quanto riguarda le differenze di genere, con netta prevalenza dei maschi.

Parliamo di questa patologia con il dottor Daniele Romagnoli, responsabile dell’Urologia del Policlinico Abano ad Abano Terme, in provincia di  Padova, centro di riferimento per casistica trattatta e per l’impiego in chirurgia delle tecnologie robotiche.

D. Dottor Romagnoli, quali sono i fattori di rischio che maggiormente predispongono l’uomo e la donna a sviluppare questa tipologia di tumore?

R. Svariati sono i fattori di rischio per questo tipo di malattia, anche se il primo posto è ricoperto dal fumo di sigaretta. I prodotti di degradazione della nicotina svolgono azione cancerogena nei confronti delle cellule di rivestimento delle vie urinarie, il cosiddetto “urotelio”. Altri chimici predisponenti sono i coloranti e derivati delle amine aromatiche ritrovabili nell’industria petrolchimica. Nei Paesi in via di Sviluppo la presenza di un parassita, lo schistosoma, è risultata fortemente connessa alla insorgenza di questo tipo di malattia. A differenza di altre forme di tumori, attualmente il tumore della vescica non presenta sicura connessione con mutazioni a trasmissione ereditaria, per cui possiamo affermare che non vi è una dimostrata familiarità per questo tipo di malattia.

D. Quali sono i sintomi e cosa fare quando si individua quello che potrebbe essere un campanello d’allarme?

R. Spesso il sintomo principale, se non l’unico, è la presenza di sangue nelle urine, il cui termine tecnico è ematuria. Sino a prova contraria, ciascun episodio di sanguinamento nelle urine va considerato come sospetto e come tale va indagato, per evitare di trascurare una patologia così grave. Come primo passo lo specialista esegue una anamnesi accurata, che vada a verificare la presenza di condizioni a rischio, come l’abitudine al fumo o l’esposizione a tossici. 

In secondo luogo, si eseguono le indagini diagnostiche, che comprendono l’ecografia, la TC Addominale con mezzo di contrasto (detta anche UroTC), e la cistoscopia, ossia il controllo diretto dentro la vescica con una telecamera flessibile, che consente di individuare direttamente il problema. L’aspetto di questi tumori è vario: si va da forme coralliformi a bottoni solidi, la cui natura si può chiarire solo asportandoli, mediante l’intervento di asportazione transuretrale (TransUretral Resection of the Bladder, o TURB), per poi farli analizzare dall’anatomia patologica.

D. Come funziona la TURB?

R. Questo intervento si esegue in anestesia spinale o generale e prevede l’introduzione dello strumento direttamente attraverso il buchino da cui esce l’urina (meato uretrale). Una volta individuata la o le neoformazioni vescicali, si procede all’asportazione delle e alla coagulazione della sede di resezione, al fine di evitare sanguinamenti o di interromperli, qualora l’ematuria sia inarrestabile al momento della prima diagnosi. Si procede pertanto all’esame istologico del tessuto asportato, momento cardine del percorso: infatti, se la malattia risulta superficiale, coinvolgendo pertanto solo il primo strato interno della vescica (circa il 75% dei casi), si può procedere a controlli endoscopici nel tempo ed eventualmente a terapie di prevenzione endovescicali, che utilizzano o chemioterapici locali o farmaci immunostimolanti, il cosiddetto BCG o Bacillo di Calmette-Guerin, una forma attenuata del bacillo della tubercolosi. Nel 25% dei casi, tuttavia, la malattia coinvolge lo strato profondo (tonaca muscolare) della vescica. In tal caso, purtroppo, il controllo endoscopico non garantisce un adeguato controllo tumorale e occorre asportare la vescica, mediante l’intervento di cistectomia radicale.

D. Cosa prevede la cistectomia radicale?

R. Questo intervento, riservato a casi di tumori invasivi o superficiali e resistenti a pregresse terapie, prevede l’asportazione della vescica e degli organi vicini. Quindi, l’utero e le ovaie nella donna oppure la prostata nell’uomo. Insieme a essi vanno tolte le strutture linfatiche, cioè i linfonodi, localizzati attorno a questi tessuti. Una volta asportati tutti i tessuti malati, occorre ripristinare il decorso delle urine, confezionando pertanto una derivazione urinaria. 

Due sono i principali tipi di derivazioni urinarie: continenti e non continenti. Nelle prime troviamo la neovescica, ossia un serbatoio realizzato a partire da tessuto intestinale, che viene posizionato in sostituzione dell’organo malato, mentre le seconde comprendono le cosiddette “stomie urinarie”, i “sacchetti”, che possono o meno prevedere l’utilizzo di segmenti di intestino interposti tra la cute e le vie urinarie sane. 

Si tratta di uno degli interventi più complessi in Urologia, che deve essere svolto in Centri a elevata formazione e specializzazione. Un apporto importante è stato dato dalla chirurgia robotica, che ha permesso di eseguire la procedura con tecnica a minima invasività, evitando il ricorso alle grandi incisioni addominali tipiche della tecnica a cielo aperto, quella laparotomica. Mediante una serie di millimetrici fori il chirurgo esegue la procedura, mediante visione ingrandita e strumenti miniaturizzati: questo consente un ottimale controllo sui sanguinamenti, riducendo grandemente il ricorso alle trasfusioni, e un minimo trauma sui tessuti, che viene ulteriormente migliorato dalla possibilità di eseguire la derivazione urinaria direttamente all’interno del paziente, in ambiente cosiddetto “intracorporeo”. Il tutto si traduce in un più rapido recupero postoperatorio e in un precoce ritorno del paziente alle attività della vita di tutti i giorni.

D. Ci sono altre soluzioni oltre alla cistectomia radicale?

R. In casi selezionati è possibile combinare i controlli endoscopici con cicli di chemioterapia e radioterapia, configurando la strategia cosiddetta “Trimodale”. I dati in materia sono al momento contrastanti, e si attendono casistiche con numeri maggiori per potere trarre conclusioni robuste ed affidabili. 

Anche per il tumore della vescica il ricorso a farmaci immunologici, o Immunoterapia, sta dimostrando risultati promettenti e la comunità scientifica ne sta monitorando attentamente l’andamento per valutarne la futura applicazione nella pratica clinica quotidiana.

D. Il paziente operato potrebbe pensare: “Mi hanno tolto la vescica: la mia vita è finita?”

R. Assolutamente no. Con una serie di accorgimenti, in base al tipo di derivazione urinaria scelto, è possibile continuare a svolgere una vita pressoché normale: nel caso della neovescica bisogna ricordarsi obbligatoriamente di svuotarla ogni due ore, in quanto dopo l’intervento lo stimolo a urinare non viene più percepito come prima, mentre quando si ha il sacchettino esterno è sufficiente svuotarlo una volta che si è riempito. In tutti i casi si tratta di presidi discreti, che consentono comunque lo svolgimento delle attività della vita di tutti i giorni, inclusa quella sportiva.

D. Per finire: come si può prevenire questo tumore?

R. In primis occorre evitare l’esposizione ai fattori predisponenti: evitare il fumo di sigaretta, anche quella elettronica, visto comunque il contenuto di nicotina in essa presente, e utilizzare i necessari dispositivi di protezione in caso di esposizione professionale. Non esistono diete di prevenzione per questo tipo di tumore, per quanto sia indubbio che una dieta varia ed equilibrata, unita a uno stile di vita sano e attivo abbia un ruolo protettivo nei confronti di svariate patologie, tumori inclusi. Fondamentali sono la sensibilizzazione e l’informazione: non bisogna sottovalutare la presenza di sangue nelle urine, né allarmarsi eccessivamente. Tale sintomo può essere presente, infatti, anche in caso di infezioni delle vie urinarie, che di tumorale nulla hanno. Tuttavia, l’unico modo per escludere questo tipo di situazione è recarsi prontamente dallo specialista, al fine di agire tempestivamente e correttamente.

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