Sono oltre 155mila gli italiani che vengono esclusi ogni anno dagli interventi mini-invasivi al cuore, nonostante questi ultimi siano in aumento. E i livelli di accesso alle terapie sono ancora inadeguati rispetto ai fabbisogni epidemiologici. I dati dicono che solo poco più di 4 italiani candidabili su 10 hanno avuto accesso nel 2022 alla procedura di impianto percutaneo transcatetere della protesi valvolare aortica (TAVI) e solo 2 su 10 beneficia della procedura di riparazione percutanea della valvola mitralica. Altrettanto scarso è l’accesso a procedure di intervento mini-invasive per la prevenzione dell’ictus. Infatti solo al 2% degli italiani potenzialmente candidabili alla procedura di chiusura percutanea dell’auricola sinistra ne ha beneficiato. Si tratta di pazienti che non possono assumere, in alternativa, anticoagulanti orali (indicati in chi soffre di fibrillazione atriale non valvolare); mentre solo 1/3 dei pazienti candidabili all’intervento percutaneo di chiusura del forame ovale pervio (PFO) ne ha beneficiato; infine solo l’1%  ha avuto accesso al trattamento percutaneo dell’embolia polmonare (PE), che consente di rimuovere il coagulo di sangue grazie ad un intervento mininvasivo che aiuta a risolvere i casi più seri e ad alto rischio con controindicazione alla trombolisi.

Questi sono alcuni dei dati relativi (non certo confortanti) raccolti ed elaborati dagli esperti della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE).

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