Avere un bel sorriso è importante e mantenerlo nel tempo, anche nel caso di impianti dentali, è possibile.

A patto, però, di prevenire le problematiche della salute della bocca innanzitutto con semplici regole di igiene dentale e controlli periodici secondo quanto indicato dall’odontoiatra di fiducia, soprattutto se si soffre di diabete, malattie cardiovascolari e se si fuma. Ma non solo.

Bisogna anche fare attenzione ai materiali che vengono utilizzati per ricostruire i denti mancanti, che devono essere certificati e di alta qualità.

Secondo la letteratura scientifica, un paziente ogni sette dopo nove anni dal posizionamento dell’impianto sviluppa la perimplantite, un processo infiammatorio dei tessuti vicino agli impianti che può portare anche alla perdita degli impianti dentali, una patologia che nelle forme meno gravi interessa quasi la metà dei pazienti (Journal of Dental Research).

Un problema diffuso, considerato che in Italia si eseguono oltre un milione di impianti ogni anno. 

“La perimplantite – spiega il prof. Giulio Rasperini, professore associato di Parodontologia all’Università degli Studi di Milano – è un’infiammazione intorno a un impianto dentale che provoca il riassorbimento dell’osso.

Il paziente può notare sanguinamento durante le manovre di igiene orale e può avere una sensazione di fastidio nella zona dell’impianto ma, spesso, non si accorge del problema.

E’ per questo che è fondamentale che i pazienti con impianti facciano regolari controlli con il dentista e che siano inseriti in un programma di mantenimento con un igienista dentale”.

Le cause

Diversi sono i fattori che concorrono all’insorgenza della perimplantite. “La causa principale – prosegue il professor Rasperini – è la presenza di biofilm batterico nel solco tra l’impianto e la mucosa orale.

Questo può essere dovuto a scarsa igiene, protesi vecchie o rovinate, superfici ruvide, impianti posizionati in modo non corretto. Altri fattori di rischio sono il fumo e la presenza di malattie metaboliche come il diabete”. 

Teflon e cotone idrofilo

Tra le cause delle perimplantite può esserci, però, anche l’utilizzo di prodotti non idonei a sigillare la protesi.

“Materiali non certificati e non pensati per il sigillo del canale di accesso alla vite di serraggio come il teflon o il cotone idrofilo – specifica il docente – possono diventare il luogo dove i batteri possono proliferare e infettare le gengive e far riassorbire l’osso attorno all’impianto

. Anche quando la protesi è cementata, c’è un elemento intermedio chiamato abutment che è avvitato: i batteri sono molto piccoli e passano attraverso la saliva all’interno della protesi.

Se viene utilizzato un materiale che non rimane pulito nel tempo ma si contamina, esiste un’alta probabilità che i batteri patogeni che si sviluppano in mancanza di ossigeno (anaerobi) causino un’infiammazione cronica che, a sua volta, porta a un riassorbimento osseo attorno all’impianto. Se questo accade, i batteri possono colonizzare la superficie dell’impianto e da qui la perimplantite”.

La catena di certificazione

E’ bene, dunque, che non venga interrotta la catena della certificazione dell’impianto da un punto di vista della sicurezza e della salute del paziente “La certificazione – aggiunge Rasperini – è un processo che consiste nella produzione di documenti che comprovano la sicurezza dei prodotti a partire dalla materia prima, i passaggi produttivi, il confezionamento e la corretta conservazione e trasporto. Tali documenti vengono verificati da un ente certificatore che ne attesta la veridicità.

Usare un prodotto certificato è una garanzia per il clinico e per il paziente che ciò che viene utilizzato è già stato testato ed è sicuro per la salute. Se un prodotto non è certificato, non può essere utilizzato, in quanto non è garantito e dunque può essere pericoloso nel breve o nel lungo periodo per la salute del paziente”. 

Nonostante sia illegale e potenzialmente pericoloso per la salute dei pazienti, l’impiego del teflon e del cotone idrofilo sembra essere una prassi ancora molto comune, anche se nel tempo si sono susseguiti numerosi richiami al riguardo da parte del Ministero della Salute.

Inoltre, c’è da tenere in considerazione che, grazie alle evidenze scientifiche unite all’esperienza clinica, l’Italia è il primo Paese all’avanguardia nella ricerca in questo settore ad aver progettato e commercializzato in tutto il mondo un prodotto per sigillare gli impianti che non si contamina, per questo l’unico certificato “classe 2 a” secondo le normative vigenti è l’unico che si può utilizzare. 

A tutela del paziente e a disciplinare la materia c’è il regolamento europeo 745/2017. “Vale per tutti gli stati dell’Unione Europea – specifica il professor Rasperini – e stabilisce che qualunque cosa venga usata sul corpo umano deve essere certificata per l’uso che ne viene fatto. Chi contravviene a questo obbligo incorre in sanzioni severe”. 

Come può informarsi, quindi, un paziente per capire se si sta affidando al professionista giusto?  

“Non è facile capire la qualità, ma in generale il paziente può richiedere la certificazione di tutti i materiali che gli sono stati inseriti nel cavo orale”, conclude il professor Rasperini.

Se si scopre di avere dentro la propria protesi su impianto teflon o cotone o altro materiale non certificato, dunque, è opportuno valutare col proprio dentista di fiducia se possibile rimuoverlo e, in caso positivo, sostituirlo con un materiale certificato.

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