La leucemia acuta linfoblastica Philadelphia positiva (LAL Ph+) rappresenta il sottogruppo più frequente di questo tipo di tumore del sangue negli adulti, la cui incidenza aumenta progressivamente con l’età.
Sopra i 50 anni può infatti interessare un caso su due.
Nel passato era considerata la neoplasia ematologica con il decorso più infausto, in quanto poco rispondente alla chemioterapia. L’unica strategia potenzialmente curativa era legata alla possibilità di effettuare un trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche, una procedura raramente percorribile per la scarsa sensibilità alla chemioterapia e per l’età avanzata di molti pazienti. La prognosi è cambiata dall’inizio degli anni 2000 con l’introduzione nella pratica clinica degli inibitori delle tirosin-chinasi, una terapia mirata alla lesione genetica che caratterizza la LAL Ph+. In tutti i protocolli nazionali del gruppo cooperatore GIMEMA (Gruppo Italiano Malattie EMatologiche dell’Adulto) si è deciso di trattare i pazienti nella prima fase – quella detta “di induzione” – con un inibitore delle tirosin-chinasi associato alla terapia steroidea, senza chemioterapia.
Si è osservato che con questa strategia si ottenevano percentuali molto elevate di remissioni cliniche e limitati effetti collaterali, in pazienti di tutte le età. È importante anche sottolineare che gli inibitori delle tirosin-chinasi sono somministrati per via orale e quindi spesso a domicilio, con un vantaggio per la qualità di vita dei pazienti.
Il gruppo guidato da Robin Foà di Sapienza Università di Roma ha poi utilizzato un inibitore delle tirosin-chinasi di seconda generazione (dasatinib) seguito da un trattamento di consolidamento con un anticorpo monoclonale bispecifico (blinatumomab) in grado di riconoscere due antigeni, uno sulle cellule tumorali e uno sui linfociti che sono così attivati contro il tumore. L’uso congiunto dei due farmaci ha permesso di ottenere una remissione completa della leucemia nel 98% dei pazienti, di tutte le età, senza effetti collaterali rilevanti e senza dover ricorrere alla chemioterapia sistemica.
I risultati dello studio clinico GIMEMA LAL2116 (D-ALBA), sostenuto nell’ambito di un programma “5 per mille” da Fondazione AIRC e con il contributo di Amgen, sono stati pubblicati nel 2020 sul New England Journal of Medicine.
Oggi arrivano i dati di oltre quattro anni di follow-up dei pazienti (53 mesi), pubblicati dallo stesso gruppo sul Journal of Clinical Oncology.
I risultati confermano l’efficacia di questa strategia terapeutica con percentuali di sopravvivenza tra il 75% e l’80%. Lo studio ha anche mostrato che il 50% dei pazienti è stato trattato con la sola terapia combinata, senza dover ricorrere a chemioterapia o trapianto. La malattia è stata monitorata durante il trattamento con tecniche di biologia molecolare e nessuno dei pazienti con risposta molecolare profonda precoce ha presentato recidive.
Questa strategia terapeutica può essere somministrata in larga parte a domicilio; infatti, il protocollo clinico ha potuto proseguire anche durante il lockdown per la pandemia da Covid-19, iniziato a marzo 2020.