Lavorare in modo creativo, per tutta l’attività professionale, sembrerebbe un dato molto positivo utile a contrastare varie forme di demenza. E non è vero che chi ha un alto livello culturale e/o è laureato, è automaticamente o quasi, immune ad Alzheimer & Co.

In un articolo apparso sulla rivista “Neurology”, un gruppo di scienziati norvegesi dell’Università di Oslo sostiene che non serve avere una o più lauree se il lavoro che si è svolto è stato all’insegna dello stress e della noia: tra i 30 e i 65 anni insomma ci si dovrebbe occupare di qualcosa di creativo perché è in questa parte di vita che si costruiscono i mattoncini contro la demenza.

Il rischio di ammalarsi di questo ampio spettro di patologie ha la stessa percentuale tra chi ha la laurea e chi non ce l’ha ma la sua professione l’ha portato a essere creativo.

Anche essere stimolati però rappresenterebbe per i ricercatori uno stop alla demenza. Da questo punto di vista dovrebbero essere rassicuranti le attività legate alla digitalizzazione che “costringono” pure chi non è giovanissimo a mettere in atto i neuroni per acquisire nuove competenze per capire e usare in modo opportuno intelligenza artificiale, software vari, realtà virtuali e via dicendo.

Ci sono però alcuni elementi che dovrebbero (qui il condizionale è d’obbligo, poiché non si sa se nel nostro Dna sia “nascosta” la base per la demenza) collaborare a limitare il degrado cognitivo. La dieta sana, prima di tutto, e il mantenersi il più possibile lontano da malattie varie, tipo pressione alta, diabete, alti livelli di colesterolo. Ma sarebbe opportuno che in qualsiasi periodo della vita, soprattutto dopo gli “anta anta”, ci si dovrebbe concentrare su attività ad alto livello creativo, antistress, ma in particolare non chiudersi nella propria solitudine, in particolare se si è rimasti soli. Uscire, chiacchierare, vedere gente, dedicarsi ad attività culturali e di volontariato verso chi è meno fortunato di noi, fare gite, andare a ballare, anche fidanzarsi se si trova la persona giusta… perché no. Vari studi, sottolineano gli esperti della Società Italiana di Neurologia, hanno indicato che in tutto il mondo è proprio l’isolamento a causare il 4% delle demenze.

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