Basterebbe un test diagnostico gratuito dedicato ad ampie fasce di popolazione, per riconoscere (e curare) l’epatite C, patologia ancora sconosciuta da molti. Ad evidenziarlo è l’indagine demoscopica “Italiani e epatiti” di AstraRicerche, applicata su un campione di 1.000 italiani per Gilead Sciences: rivela che della malattia hanno sentito parlare 7 italiani su 10, ma solo il 20% dimostra di conoscerla davvero.  Ecco allora che l’informazione diventa cruciale e con essa ‘Epatite C. Mettiamoci un punto’, la campagna multicanale di sensibilizzazione per favorire una maggior conoscenza dell’infezione dal virus HCV che appunto colpisce il fegato e dell’importanza del test di screening.

La campagna ha inaugurato il 5 giugno il suo viaggio a Milano (in concomitanza con il Congresso Easl, il più importante evento scientifico Europeo nell’ambito dell’epatologia) attraverso il ‘Tram della sensibilizzazione’, che ha portato nelle vie del centro del capoluogo lombardo materiali informativi sull’epatite C e sulle modalità di trasmissione, invitando la popolazione ad eseguire il test di screening. Da segnalare il sito dedicato www.epatitecmettiamociunpunto.it, in cui visionare quattro storie di persone comuni che grazie al test hanno scoperto e curato l’infezione.

Sempre secondo l’indagine AstraRicerche sull’epatite C oltre il 40% dichiara di saperne poco o niente (42,5%) e il 37% dice “così così”. Ancora, 6 italiani su 10 sono a conoscenza di un test diagnostico per rilevare il virus Hcv, ma solo 4 su 10 sanno che oggi esiste la possibilità, per i nati tra il 1969 e il 1989 e per alcune categorie di persone a particolare rischio, di sottoporsi gratuitamente a questo test. Troppo pochi, infine – solo 4 su 1 0- coloro a conoscenza del fatto che l’epatite C, oggi, si può curare. Questa epatite è caratterizzata da assenza di sintomi, condizione che si può protrarre anche per anni e che quindi non mette in allarme chi lo ha contratto che quindi non fa il test e non si cura. In questo modo il virus continua a passare da persona a persona e, in chi lo ha contratto, compromette progressivamente le funzionalità del fegato, arrivando anche a provocare cirrosi e tumore epatico.

Mettiamoci un punto, per eliminare l’epatite

La campagna ‘Mettiamoci un punto’ si inserisce in un più ampio contesto di lotta alle epatiti, con la volontà di contribuire al raggiungimento dell’obiettivo Oms di eradicazione del virus Hcv entro il 2030.

Da ricordare che il virus HCV si trasmette principalmente attraverso il contatto con sangue infetto, e quindi con la condivisione di oggetti per la cura personale come rasoi, spazzolini da denti, strumenti per la manicure o pedicure, lo scambio di aghi o siringhe, l’esecuzione di tatuaggi o piercing con aghi non sterili. Anche coloro che hanno subito trasfusioni di sangue o trapianti d’organo prima degli anni ’90 sono a rischio poiché fino a quel momento il virus non era conosciuto. Meno frequente l’infezione per via sessuale e da madre a figlio durante il parto.

Nella ricerca c’è la falsa convinzione che a rischio epatite C siano solo specifici gruppi di persone: gli intervistati mettono al primo posto i tossicodipendenti per via iniettiva (46,3%), in seconda posizione, le persone che si sono sottoposte a trasfusione o trapianto d’organo (42,90%), al terzo gli alcolisti (30,57%). Solo 2 italiani su 10 associano tatuaggi (24,8%) e piercing (23,5%) al rischio epatite C. Quota che diminuisce drasticamente per le pratiche estetiche (13,6%).

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